È lo spauracchio con cui da destra a sinistra tutti devono fare i conti. Ma a guardare indietro nel tempo, suggeriscono gli esperti, rischia di danneggiare soprattutto chi sta al governo. E pure chi in genere può contare su un bacino di elettori radicati nelle zone in cui la disaffezione si prevede più alta, come il Mezzogiorno. A una manciata di giorni al voto, un’ombra aleggia sulle urne italiane per le Europee: quella di un astensionismo record.
Non che sia una novità: dal 1979, l’anno delle prime elezioni per il parlamento europeo, l’interesse degli italiani per ciò che accade a Bruxelles e Strasburgo è andata scemando. Almeno a guardare la partecipazione al voto, crollata dall’85,7% degli esordi al 54,5 di cinque anni fa. E stavolta – dicono le previsioni dei sondaggisti – l’asticella potrebbe finire attorno alla soglia psicologica di un italiano al voto su due. Con un tonfo, in particolare, tra gli under 35, che dalle rilevazioni emergono come i più «dubbiosi»: quelli in cui il mix tra indecisione e astensionismo pesa, secondo Quorum-Youtrend, tra 15 e 20 punti in più rispetto alle altre fasce d’età.
IL SENTIMENT
Già, ma se così sarà, chi ne farà le spese? Difficile prevederlo, concordano i sondaggisti. «L’affluenza è determinata dal sentiment della campagna elettorale», spiega Antonio Noto di Noto Sondaggi. «E il tono di questa campagna sembra flebile, moscio. Nel 2014 Renzi aveva appena lanciato gli 80 euro, nel 2019 Salvini puntò tutto sulla sicurezza. Stavolta invece nessun partito ha un’idea-bandiera da sventolare: manca un tema forte che possa ravvivare l’interesse degli elettori». Ecco perché per Noto il 54% di cinque anni fa sarebbe un traguardo ambizioso: «Il risultato sarà probabilmente minore».
E guardando ad altre tornate in cui la partecipazione è scesa, subire il peso del calo è toccato soprattutto ai partiti di governo. Ragiona Carlo Buttaroni di Tecnè: «Le Europee vengono vissute come elezioni di medio termine. Ed è frequente che, quando cala l’affluenza, a restare a casa più che i supporter dell’opposizione siano soprattutto gli elettori delusi dall’esecutivo». Ma ogni regola ha le sue eccezioni. «E infatti nel 2014 e nel 2019 non è andata così: in entrambi i casi i partiti di governo, prima il Pd, poi la Lega, sono stati premiati con risultati storici». In altre parole: potrebbero esserci sorprese. «In una fase come questa, con due conflitti in corso che generano molta preoccupazione, decifrare il sentiment dell’opinione pubblica è particolarmente difficile», argomenta Buttaroni. «I cittadini sono sottoposti a un eccesso di stimoli che crea confusione. E che rischia di allontanare ancora di più».
E poi c’è l’altro fattore chiave, il territorio. E qui l’osservato speciale è il Mezzogiorno. In genere meno incline a correre in massa ai seggi per scegliere chi mandare a Bruxelles. «Al Sud e sulle isole il calo dell’affluenza è molto più marcato che nel resto del Paese», spiega Lorenzo Pregliasco di Quorum-Youtrend. «Nel 2019, in Sicilia e Sardegna ha votato la metà degli elettori rispetto al ‘79, mentre al Nord la diminuzione è stata di un terzo». Una forbice i cui effetti si fanno sentire pure alle Politiche, ma che in occasione del voto per Bruxelles si allarga a dismisura. «È per questo che chi è più radicato al Sud alle Europee sconta di più l’astensionismo. Cinque anni fa – prosegue Pregliasco – questa distribuzione premiò il Pd e sfavorì M5S. Mentre alle successive Politiche si è registrata la tendenza opposta». Ed è lo stesso motivo per cui «potenzialmente – chiosa Pregliasco – anche Forza Italia, da una scarsa partecipazione, rischia qualcosa in più». Anche se un riequilibrio può arrivare dai candidati. «Al Sud il voto di preferenza conta più che al Nord, dove pesa il simbolo del partito», suggerisce Noto. «E un candidato forte – conclude – può trainare una lista anche in caso di scarsa affluenza».
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